Brasile, le radici del ritmo
Si chiamarebbe Rogerio do Maranhao, ma per tutti è Rogeryo du Maranhao. Le lettere “y” e “u” se le è aggiunte da solo, perchè «sono una sorta di antenna, in grado di captare suoni», spiega il prolifico musicista di Sao Luis mentre sorseggia un bicchiere di Guaranà Jesus, una bevanda dallo spiccato sapore di cannella e dal colore rosato, inventata nel 1920 da un farmacista di nome Jesus Norberto Gomes. Autore di tre libri e ben 20 cd, Rogeryo insegna musica a 350 tra bambini e adolescenti. Una scuola dedicata a Dilu Melo (1911-2000), virtuosa strumentista che a 12 anni era considerata la miglior violinista del mondo. Era la zia di Rogeryio. «Voi europei, quando parlate di musica brasilina, pensate a Rio, o al massimo a Bahia. Ma è nel Maranhao che convivono tesori musicali in grado di mettere in moto la festa in modo originale».
Per le strade di Sao Luis non si respira la violenza di certi quartieri di Rio o San Paolo. Le baby gang, con la loro colla da sniffare, non abitano qui. L’intera città bagnata dalle acque tiepide di Sao Marcos e dall’Oceano Atlantico, si muove con lentezza, perennemente accarezzata dalla brezza del mare, avvolta in un clima piacevolmente caldo. Una realtà che ha spinto i maranehnesi ad adottare, come musica ufficiale del proprio stato, i ritmi come musica ufficiale del proprio stato, i ritmi ipnotici e ripetitivi del “reggae”. Un suono che rimbalza lieve da un locale all’altro delle spiagge di Ponta de Areia, a quattro chilometri dal centro città, e di Sao Marcos, patria di surfisti e amanti della vela.
Quello che la storia ci ha lasciato in eredità è una delle capitali più lusitane del Brasile, con un’impronta architettonica tipicamente portoghese nei quasi 4000 edifici sorti in quattro secoli. Sono tutti concentrati in un segmento della città conosciuto come la Zona, in pratica il centro storico, figlia degli anni in cui il PIL delle potenze economiche mondiali era fortemente legato al mercato del cotone e della canna da zucchero. Da quei tempi Sao Luis ha ereditato i nipoti degli schiavi: oggi è una città ancora più nera di Salvador di Bahia. Le testimonianze sono numerose, a partire dal Museo do Neglio, ospitato nel Cafuà das Merces, l’antico mercato degli schiavi, dove sono esposte opere d’arte africana e strumenti musicali utilizzati nei terreiros, i luoghi deputati al culto delle religioni afro-americane.
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Il ritmo sensuale del Tambor
Per un’ulteriore conferma di quanto l’Africa sia compenetrata con l’odierna Sao Luis si può passare dalle parti del Mecardo de Praia Grande, ogni giovedì sera, per imbattersi in una delle anime nere della città.
Il primo buio della sera viene rischiarato da un fuoco utilizzato per scaldare le pelli del rancador, del socador e del crivaldor: i tre tamburi utilizzati per un rito originariamente dedicato a San Benedetto, il santo cattolico sincretizzato con Toy Averekete, divinità del candomblè. È la tradizione del Tambor de Crioula, una danza sensuale dove una ballerina, ospitata in una ruota formata da donne agghindate con lunghe gonne sgargianti, si esibiscono nella punga: un “colpo d’ombelico” dall’inequivocabile valenza sensuale.
L’area del mercato è ne cuore di Praia Grande, da sempre l’ombelico della Zona: un quartiere che è stato recuperato con un progetto, il Revivere, gemello dell’analoga operazione portata a termine nel Pelourinho di Salvador di Bahia.
Movida in Salsa Nordestina
Invece i 500 metri che partono dall’angolo tra rua da Estrela e rua Alfàndega girano intorno alla Casa do Maranhao percorrono rua Portugal per ricongiungersi con rua da Estrela, pur avendone tutte le caratteristiche, non appartengono a un set cinematografico: sono il cuore della movida del quartiere di Praia Grande.
Qui, sotto enormi alberghi di Praia Grande. Qui, sotto enormi alberi di mango, i camerieri servono calici di birra gelata. Venditori ambulanti di macedonia pedalano su biciclette con montato un cartello che declina i vantaggi vitaminici garantiti dalla loro mercanzia.
Branchi di freak, reduci da qualche paradiso hippie della costa, vendono orecchini artigianali che sono un vero e proprio “bignami” del Brasile, perchè inanellano ossa di pesce, brandelli di pelle di coccodrillo, piume di uccello, pietre dure, riproduzioni di divinità del candomblé.
L’allegria dei Quilombos
Ritmi che esplodono all’unisono nei giorni del Carnevale. E che Sao Luis sono arricchiti dal fragore dei Tambor de Crioula e dei Tambor de Minas, dai ritmi mutuati dal Bumba – meu – boi, l’altra grande festa che si celebra a giugno, e dall’improvvisazione, di chiara marca africana, portata in dote dagli abitanti dei quilombos, le comunità formate dai discendenti degli schiavi fuggiti dalle piantagioni.
Per preparare il Carnevale, quattro giorni in cui lasciarsi alle spalle tutte le preoccupazioni, i brasiliani lavorano per dodici mesi – investendo una parte considerevole dei loro risparmi – nella preparazione di costose fantasias, gli sgargianti costumi delle scuole di samba. «La miseria interessa agli intellettuali, al popolo piace il lusso», ci spiega il titolare di un laboratorio sartoriale di Madre Deus, il barrio più bohémien della città. È qui che hanno sede alcune scuole di samba, tra cui quella di Tourma do quinto, che talvolta prova musiche e danze di notte, davanti alle mura del locale cimitero.