Escursioni al Parco dell’Etna


Non lontano da Catania, sulla costa orientale della Sicilia, si trovano tre rocce poderose, lambite dalle onde. Conosciute come gli Scogli dei Ciciopi, sono di origine vulcanica e completamente diverse dagli altri scogli dislocati lungo la riva. Si dice che proprio questi macigni siano stati lanciati da un gigantesco essere mostruoso contro la nave di Ulisse, l’eroe del ciclo troiano della mitologia greca.

Omero, il poeta greco del VIII secolo a.C., racconta nell’Odissea come Ulisse e i suoi compagni vennero fatti prigionieri in Sicilia dai Ciclopi, una razza di giganti antropofagi. Il loro capo si chiamava Polifemo, e aveva un solo occhio in mezzo alla fronte. Mentre Polifemo dormiva, l’eroe e i suoi compagni infilarono nell’occhio del gigante un aguzzo tronco di olivo arroventato e ancora avvolto dalle fiamme, quindi fuggirono per mettere in salvo se stessi e la loro nave.

Sebbene accecato e agonizzante, il Ciclope riuscì a staccare alcune rocce dal fianco della montagna e a scagliarle contro i suoi tormentatori. Non riuscì a colpirli, ma le rocce si trovano ancora nel punto dove caddero, a ricordo della forza del mostro.

A conferma di questo racconto, se si guarda nell’entroterra, a circa 20 km dagli Scogli dei Ciciopi, si vede la vetta dei vulcano, l’Etna, stagliata contro il cielo azzurro intenso della Sicilia. Il suo unico cratere, cieco e incavato, assomiglia all’occhio dei gigante.

Nel corso dei secoli, l’Etna ha confermato, non una ma diverse volte, la sua abilità nello scagliare massi perlomeno grandi come gli Scogli dei Ciclopi a distanze ancora maggiori, e continua anche ai giorni nostri a dare spettacolare dimostrazione della sua collera.

Sono state tramandate le massicce eruzioni del 475 e del 396 a.C., come pure quelle degli anni 812, 1169 e del XIV secolo. Nel 1669 l’Etna si spaccò da cima a fondo, rovesciando milioni di tonnellate di lava che devastarono Catania, la città ai suoi piedi, e la campagna circostante. Sia prima sia dopo questo periodo, eruzioni minori, più di una dozzina delle quali vanno annoverate in questo secolo. hanno distrutto i terreni coltivati e sepolto interi paesi.

Anche se i racconti dell’attività dell’Etna risalgono a epoche mitologiche, tra i vulcani questo è piuttosto giovane. L’Etna è emerso dal mare circa un milione di anni fa, e la sua prima eruzione avvenne circa mezzo milione di anni dopo. Oggi è il più grande vulcano attivo d’Europa, con una circonferenza di circa 160 km alla base, e copre una superficie delle dimensioni di Londra.

Come accade a molti vulcani, l’altezza dell’Etna è variabile; attualmente la sommità si trova alla quota di 3320 m, ma un secolo fa era più alta di 30 metri. La vetta non è mai nello stesso posto, perché le ripetute eruzioni causano lo sprofondamento delle cime dei vulcani, lasciando depressioni a forma di scodella, o caldere, mentre nuove sommità sorgono nelle vicinanze. L’Etna aveva come minimo due vette prima dell’unica attuale, e sul fianco dei vulcano vi è una caldera di proporzioni quasi sbalorditive, un grosso buco di 20 km di circonferenza, con fianchi che scendono a precipizio per 900 m.

Tutta l’attività di crescita e di rinnovamento comunica l’inquietante impressione di essere alla presenza di un’enorme, anche se primitiva, creatura vivente. Questa impressione è resa ancor più viva dalle esalazioni – come fossero respiri di gas -e vapori che escono dalle fumarole (sfiati) e dai microcrateri. Infatti l’Etna, come altri vulcani attivi, può essere più esattamente paragonato a una valvola che perde, installata su un punto debole della crosta terrestre.

Si ritiene che le sue eruzioni provengano da una riserva di lava lunga circa 30 km e profonda 4, collocata sotto la montagna e alimentata da immani quantità di materiale fuso carico di gas che spingono in su, sotto la crosta. Pressioni titaniche salgono, cercando di uscire dai fianchi e dalla vetta dei vulcano per poi emergere alla superficie come fontane di tuoco, nuvole di gas solforici e torrenti di lava, che colano giù dai fianchi della montagna.

Verrebbe da pensare che questo non sia il luogo ideale per un insediamento umano. Invece, si dà il caso che le pendici dell’Etna siano fra le zone più densamente popolate della Sicilia. Anche se i fiumi di lava dei vulcano sono estremamente distruttivi per i terreni coltivati e per opere come strade e ferrovie, questi scorrono solo saltuariamente e lentamente, ed è raro che qualcuno rimanga ucciso.

Il motivo di questo popolamento è che le pendici hanno abbondanti acque sorgive, e che la cenere vulcanica produce i terreni più fertili dei mondo. Si giunge a fare fino a cinque raccolti di verdure all’anno, la frutta cresce in abbondanza e la corposità dei vini dell’Etna è proverbiale. Questo è il motivo per cui, sin da tempi immemorabili, gli abitanti persistono tenacemente nel ricostruire i paesi nello stesso luogo, e ricominciano sempre da capo.

Per quanto viene ricordato dalla storia, coloro che vivono della fertilità del suolo dell’Etna hanno fronteggiato i momenti più violenti del vulcano affidandosi solo alla divina Provvidenza. In un paio di occasioni venne attribuita al velo di Sant’Agata, portato in processione solenne, la grazia di aver fermato il corso della lava; ma quando questi miracoli non avvenivano, i paesani accettavano il loro destino con una filosofica alzata di spalle e attendevano il momento per ricostruire sulle rovine.

Non si può dire che i primi tentativi di sconfiggere le eruzioni con mezzi fisici incontrassero l’entusiasmo universale. Nel 1669, gli abitanti di Catania fecero il primo tentativo di cui si ha memoria per deviare il corso della lava, scavando una trincea al di sopra dei centro abitato. Ma quando sembrò che il flusso deviato potesse investire un paese dei dintorni, furono costretti a desistere.

Salire sull’Etna a piedi – non è difficile perché le pendenze sono lievi – vuol dire avere la storia naturale della zona distesa davanti agli occhi. Vigneti, aranceti e alberi di pistacchi ammantano le pendici più basse, lasciando il posto agli alberi di mele e di ciliegie. Più in alto si trovano declivi boscosi con querce, noci e castagni, noccioli e betulle, e più in alto ancora )a tormentata, antica lava, dove non crescono che piante da roccia e occasionali collinette di astragalo siciliano.

Anche qui vi sono sacche di neve permanente. Anticamente veniva ricoperta da strati di cenere fredda, e durante l’estate veniva portata a Roma e a Napoli per essere utilizzata nella produzione dei gelati: l’aristocrazia locale lo riteneva un raccolto molto più importante della vendemmia.

Ma verso la sommità vi è una zona completamente spoglia di vita, una grigia distesa desertica, fatta di scorie vulcaniche, cenere e lava, costellata di crepe fumiganti: una visione che riporta agli albori dei mondo. La gola spalancata dei cratere è chiazzata di ossidi e solfati, e la sua profondità varia continuamente con il sollevarsi dei tappo di lava.

Il momento più adatto per vedere tutto questo è appena prima dell’alba, quando il cratere pulsa con la rossa luminescenza che è sempre stata un punto di riferimento per i marinai da quando le navi iniziarono a veleggiare nel Mediterraneo. Allora, appena il sole si alza, si vedono tutta la Sicilia e la Calabria, con l’ombra dell’Etna che vi viene incontro e, in lontananza, si può scorgere Malta. Queste sono le terre che videro l’inizio della civiltà europea; un pensiero confortante, mentre il caos primordiale ribolle sotto i nostri piedi.

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato.

Time limit is exhausted. Please reload the CAPTCHA.